Per i diritti di tutti gli animali
   

 

 

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Richiedici il dossier completo sul progetto
di riconversione e studio dello zoo Al Maglio:
infocda@bluemail.ch

Un'interessante riflessione scritta dal Dr. med. Stefano Cagno (psichiatra) e dalla D.ssa Annamaria Manzoni
(psicologa)


In qualche angolo della coscienza degli adulti sono presenti e vigili la convinzione che la conoscenza degli animali sia utile per ogni bambino e la certezza che avere contatti con loro non possa che essere fonte di gioia ed interesse. E’ pertanto in perfetta buona fede che molti genitori, oltre a far crescere in casa un animaletto domestico, sono solerti ad accompagnare i loro figli allo zoo, dove si vedono animali non altrimenti osservabili, o alla gran festa del circo dove animali comuni o esotici vengono impegnati in performance davvero fuori dalla norma.
Al circo i bambini sono sollecitati ad apprezzare quanto sono belli, quanto sono bravi questi animali: e più gli esercizi sono difficili, maggiore è l’entusiasmo che si vedono trasmettere. Così come allo zoo l’animale più arrabbiato o più inquieto è fonte di maggiore curiosità.
Ma è doveroso ben demarcare la differenza tra la conoscenza di un animale così come può avvenire in una relazione domestica o nella sua osservazione in un ambito naturale da quella che ha luogo in situazioni che li snaturano: portati in luoghi che non appartengono ai loro bisogni naturali, in condizioni climatiche inadeguate, limitati in spazi insufficienti, privati delle relazioni fondamentali con i loro simili, come avviene negli zoo; costretti, in sovrappiù, a compiere esercizi, “numeri”, estranei alla loro natura, che possono imparare solo e soltanto attraverso un addestramento prolungato e crudele.
Che cosa può acquisire un bambino dalla vista di tutto ciò? Esattamente quello che l’adulto gli suggerisce: in altri termini, nel corso dello sviluppo la facoltà di critica e di giudizio, la morale, si formano e si acquisiscono sul modello proposto o imposto: è buono ciò che è presentato come tale, è giusto ciò che viene regolarmente incentivato.
I genitori che accompagnano i figli allo zoo o al circo, lo fanno come momento di festa, li esortano ad una curiosità interessata, mobilitano una forma di gradimento e di entusiasmo; il bambino, a seconda della sua età, tenderà a fare una sovrapposizione tra lo spettacolo che vede e l’atmosfera che respira, che è di approvazione e di serenità. L’identificazione tenderà poi ad incidersi profondamente nella sua psiche tanto che in futuro la visione di animali in analoga situazione eliciterà i ricordi piacevoli ad essi ormai associati nell’inconscio. Questa operazione avviene però mentre contestualmente viene negato un aspetto importante della realtà, che è quello della sofferenza: gli animali chiusi nelle gabbie mandano una serie inequivocabile di segnali di disagio, insofferenza, nervosismo, irrequietezza; mostrano la difficoltà connessa, nel circo, alla costrizione a danzare a ritmo di musica, a camminare su due zampe, a riproporre atteggiamenti comuni agli uomini, ma grotteschi rispetto alla loro natura. Leggere tali segnali è frutto di osservazione e reagire ad essi in modo empatico è alla base dell’educazione alla sensibilità. Se le naturali emozioni di disagio, speculari a quelle provate dall’animale, si scontrano con l’allegra superficialità dell’adulto, genitore o educatore che sia, sarà gioco forza per un bambino non dare loro diritto di cittadinanza e adeguarsi allo stato mentale che gli viene richiesto, per l’appunto quello di ilare soddisfazione.
Il risultato di tutto ciò è un’educazione all’insensibilità, a non riconoscere nell’altro essere vivente, animale umano o non umano, i segnali di dolore, a ritenere normali le manifestazioni di dominio del più forte sul più debole.
Non si deve dimenticare che la capacità di individuare e riconoscere i sentimenti e le emozioni degli altri, di vedere la realtà da un punto di vista che non sia esclusivamente il proprio, è fondamentale nella vita delle persone: permette di strutturare il proprio comportamento tenendo conto delle esigenze dell’altro, con il risultato spesso di inibire comportamenti aggressivi e disfunzionali.
Ciò è ormai talmente riconosciuto che esistono addirittura programmi tesi a promuovere lo sviluppo dell’empatia: lo si fa chiedendo ai bambini di identificare le emozioni degli altri e di leggere le proprie reazioni, in risposta ad esse.
Circhi e zoo vanno nella direzione esattamente opposta: educano il bambino a non riconoscere lo stato d’animo dell’animale che ha davanti, a disconoscere i suoi segnali di sofferenza, a reagire con la gioia e il divertimento al suo disagio: gli stanno proponendo un buon tirocinio per abituarsi a fare altrettanto con i suoi simili.
Tutto ciò è ormai in buona parte divenuta diffusa acquisizione, tanto che sono molte in Europa le città che rifiutano di ospitare sul proprio territorio circhi che vivono sullo sfruttamento degli animali, mentre ampio è il movimento che chiede con forza la chiusura degli zoo.
Purtroppo sopravvivono retroguardie chiuse a questa nuova consapevolezza e che privilegiano il guadagno immediato ad un investimento sulla formazione di nuove generazioni più sensibili al tema del rispetto per ogni creatura vivente.
Non possiamo che augurarci che l’etica possa alla fine prevalere sull’interesse.

Lettera della Dottoressa Annamaria Manzoni (psicologa) scritta in sostegno alla nostra
campagna contro lo zoo Al Maglio e il circo Knie.


Egregi Signori,
vorrei dare un contributo che nasce dalla mia esperienza professionale, alla giusta riflessione del Centro di Documentazione Animalista a proposito di circhi e zoo.
L’attuale presenza sul territorio del circo KNIE, come del resto quella dello zoo di Magliaso, inducono a ripensare al senso di queste istituzioni: se le vivaci proteste da tempo in atto stigmatizzano le sofferenze e i disagi a cui gli animali coinvolti sono sottoposti, bisogna aggiungere ad esse anche critiche legate ad un ruolo sostanzialmente negativo dal punto di vista pedagogico ed educativo, stante che i loro maggiori fruitori sono in genere i bambini.
E’ facile immaginare che essi vi vengano accompagnati da adulti convinti di offrire loro una forma di divertimento ed una opportunità di conoscenza: ma si deve invece riflettere sul fatto che, dietro il supposto divertimento, avvengono dinamiche che non devono essere sottovalutate. Ciò in quanto i bambini vengono sollecitati a gioire e rallegrarsi davanti allo spettacolo di animali costretti in situazioni critiche, in luoghi che non appartengono ai loro bisogni naturali, in condizioni climatiche inadeguate, limitati in spazi insufficienti, privati delle relazioni fondamentali con i loro simili, negli zoo; costretti, in sovrappiù, a compiere esercizi, “numeri”, estranei alla loro natura, che possono imparare solo e soltanto attraverso un addestramento prolungato e crudele, nei circhi.
Gli incitamenti degli adulti affinché i bambini apprezzino questi spettacoli contengono un invito implicito a disconoscere tutti i segnali di dolore che provengono dagli animali; se l’empatia è la capacità di vedere le cose dal punto di vista dell’altro, animale umano o non umano che sia, di riconoscere le sue emozioni e i suoi stati d’animo, di rispondere ad essi con reazioni congruenti ad essi, allora la frequentazione di zoo e circhi va davvero nella direzione diametralmente opposta.
Dal momento poi che essa ha luogo in un’atmosfera di approvazione e serenità, indotta dalla presenza rassicurante dei genitori, il bambino tenderà a fare una sovrapposizione tra lo spettacolo che vede e il clima affettivo. L’identificazione andrà poi ad incidersi profondamente nella sua psiche tanto che in futuro la visione di animali in analoga situazione eliciterà i ricordi piacevoli ad essi ormai associati nell’inconscio.
Se deve servire a favorire la crescita e la consapevolezza, il rapporto con l’animale deve avere luogo all’interno di una relazione di rispetto: relazione che zoo e circhi certamente non favoriscono.

Annamaria Manzoni, psicologa